venerdì 27 febbraio 2009

"Io, uno dei tanti ingannati dalla Calabria"


"EGREGIO direttore, era da diverso tempo che avevo intenzione di scrivere questa lettera ma fino ad oggi ho sempre desistito dal farlo, fino a quando non leggo sul suo giornale che politici più o meno autorevoli del nostro amato Paese si stanno pubblicizzando sulle spalle dei giovani laureati calabresi. Mi riferisco alla polemica sorta tra il senatore Ichino ed il gotha della politica calabrese. Lungi da me voler diventare il moralizzatore della nostra terra ma penso che né il senatore Ichino né altri politicanti possano assurgersi a salvatori della patria quando loro stessi sono il problema. Se c'è qualcuno che può permettersi di dire qualcosa al riguardo sono i giovani calabresi che quotidianamente vengono saccheggiati della loro dignità e del loro valore. Io sono uno di loro. Io sono uno che ha creduto nella Calabria. Io sono uno che ha faticato tanto per raggiungere il traguardo della laurea. Io sono uno che ha investito tutto nella Calabria. Io sono uno dei tanti che è stato ingannato dalla Calabria. Io sono uno che è stato deluso dalla Calabria. Questi politicanti discutono, parlano e fanno finta di litigare sulla nostra pelle, ma il risultano non cambia: la Calabria è e resterà sempre l'ultima.

Ma entriamo in medias res esponendovi il mio caso. Io e mia moglie abbiamo presentato domanda alla RegioneCalabria per partecipare a questo famoso bando dei Voucher. Ebbene: entrambi giovani (28anni), entrambi laureati con 110/110 e lode, entrambi con reddito Isee basso, entrambi con una serie di requisiti che ci collocavano tra le prime posizioni nelle rispettive graduatorie. Ma con nostra grande sorpresa e meraviglia entrambi esclusi dai vincitori. Anzi a dirla tutta mia moglie era stata anche premiata come vincitrice provvisoria, premio successivamente negato grazie ad una magia degli uffici regionali che hanno modificato le regole in corso d'opera. Andiamo alla sede del consiglio regionale, presentiamo regolare ricorso, ma il risultato non cambia. Allora ci rivolgiamo ad un avvocato, presentiamo ricorso al Tar (e solo adesso capisco che cosa significa questa sigla: Tarocchiamo Atti Regionali) ma anche il Tar fa finta di non vedere e non accetta i due ricorsi. Allora sorge spontanea nel lettore una domanda: Perché tutto questo? Perché la Regione tarocca delle graduatorie? Perché anche il Tar fa finta di non leggere le carte? Perché di alcuni accettano documenti palesamenti taroccati allo scanner (sembra di essere nella soap Centovetrine di Canale5) mentre dei nostri non accettano documenti in originale con tanto di marca da bollo? La risposta a tutte queste domande è una sola: in Calabria vige solo una legge, ovvero "la legge dell'Amicizia". L'amicizia nella nostra terra è sacra. Se sei amico di qualcuno, oppure se conosci qualcuno tutte le porte ti verranno aperte. Se invece sei una persona qualunque che ad esempio si alza tutte le mattine alle 6 per andare a lavorare per 30/40 € al giorno senza assicurazione né garanzie per il futuro, una persona che crede in altri principi e valori come l'onestà e la sincerità, oppure se sei uno che crede che le cose vanno meritate col sacrificio e col sudore… e allora la Calabria non fa per te! I latini dicevano “Nemo propheta in patria” ed oggi a distanza di tempo capisco appieno il significato di quelle parole. Avrei tanto altro da dire ma capisco anche che un giornale non può pubblicare tutta la mia rabbia. Chiedo solo a qualche persona di sani principi che opera in Italia di fare un po' di chiarezza su questo scandalo tutto calabrese. Mi appello quindi a qualche autorità affinché riesamini tutta la documentazione e faccia piena chiarezza su una storia alquanto ombrosa".


Dott. Saverio Pometti


(fonte: Il Quotidiano della Calabria del 18/02/2009, pag. 14)

mercoledì 25 febbraio 2009

La morte di Pasolini: una verità a rate

«Pasolini, omicidio politico». La verità a rate di Pino Pelosi: lo scrittore fu massacrato dai fascisti
ROMA. Giuseppe Pelosi, condannato per l’omicidio di Pierpaolo Pasolini fa un ulteriore passo avanti verso la verità sull’ uccisione del poeta.
La notte tra il 1 e il 2 novembre del 1975 erano in 5 a massacrare di botte il saggista che aveva denunciato i retroscena del potere e che stava lavorando al romanzo «Petrolio» dedicato a Eugenio Cefis, indicato come il vero fondatore della P2 e il «grande manovratore» del potere più oscuro. Pelosi non incontrò casualmente il regista quella sera; c’era un appuntamento fissato esattamente una settimana prima.
Pelosi rivela, in una intervista inedita a Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza - autori del volume «Profondo nero. Mattei, De Mauro, Pasolini. Un’unica pista all’origine delle stragi di Stato», appena uscito per Chiarelettere - che tra quei 5 c’erano i due fratelli Borsellino, Franco e Giuseppe, morti da tempo di aids. Il nome dei due non è nuovo. Già una informativa di due mesi dopo il delitto li indicava, assieme ad un terzo, come gli autori del massacro dell’Idroscalo.
Ora Pelosi ne conferma direttamente la responsabilità ed anche il contesto in cui avvenne il pestaggio mortale e dice che sono rimasti nell’ombra gli altri tre (anche se uno potrebbe essere, nonostante le smentite di Pelosi, Giuseppe Mastini, detto Jhonny lo Zingaro), e soprattutto che si trattò di un omicidio politico.
I due Borsellino erano frequentatori della sezione dell’Msi del Tiburtino. «Se tu uccidi in questo modo o sei pazzo o hai una motivazione forte. Se gli assassini sono stati fatti sfuggire alla giustizia per trent’anni, pazzi non sono certamente... avevano una ragione importante per fare quello che hanno fatto. E nessuno li ha mai toccati».
«Quella sera c’erano pure Franco e Giuseppe Borsellino... quei due stavano tramando qualcosa, qualcosa di brutto me ne sono accorto subito, e perciò gli ho detto chiaro che io non volevo partecipare, non ne volevo sapere nulla».
Appena arrivato all’Idroscalo sulla Gt di Pasolini dal buio esce una macchina scura, un 1300 o un 1500 da cui scendono 5 persone. Uno, con la barba sui 40 anni, assesta a Pelosi un cazzotto. Pelosi scappa dopo essere stato minacciato. I 5 tirano fuori Pasolini dalla macchina e iniziano il pestaggio. Gli dicevano «sporco comunista, frocio, carogna». Pelosi si riavvicina quando tutto è finito. Il problema, quindi, sono gli altri tre, quelli mai individuati. I Borsellino - dice Pelosi - erano «diventati fascisti, andavano a fare politica».
Pelosi conferma di aver avuto nel tempo minacce «vere e proprie», inviti a tacere. Quella data a Pasolini fu una lezione, una punizione, «forse dovuta al partito o alla politica. Pasolini stava sul cacchio a qualcuno». Alla fine «ho pagato solo io» spiega Pelosi che rivela un’altra novità. La scelta di accollarsi tutta la storia, di ridurre tutto «a un fatto di froci» gli venne suggerita dal suo avvocato.
(fonte: Il Tirreno del 25 febbraio 2009)